Le Figlie di Mami Wata: tra mito e sfruttamento

Introduzione: Il Fascino e l’Inganno di Mami Wata

In molte culture africane, Mami Wata è una figura mitologica potente e ambivalente. Divinità dell’acqua, è associata alla bellezza, alla seduzione e alla prosperità, ma anche al pericolo e all’inganno. Il suo culto è diffuso in Nigeria e in altre regioni dell’Africa occidentale, dove viene venerata come una forza capace di concedere ricchezze e successo, ma anche di trascinare le persone in un destino oscuro.

Il documentario Le Figlie di Mami Wata, girato a Benin City, esplora il dramma delle giovani donne nigeriane vittime della tratta, intrecciando la loro storia con il mito di Mami Wata. Proprio come la divinità acquatica, la promessa di una vita migliore in Europa si rivela spesso un’illusione, un inganno che le porta in una spirale di sfruttamento e sofferenza.

Una produzione realizzata con la Scuola di Cinema per giovani di strada di Benin City

Uno degli elementi distintivi di questo documentario è il coinvolgimento attivo della Scuola di Cinema di Alberto Cicala a Benin City, un’iniziativa che ha contribuito alla formazione di giovani talenti nel campo della narrazione visiva. Il film è stato prodotto grazie all’allora Butterfly Europe for Africa, oggi Mater Africa, che ha promosso l’educazione audiovisiva come strumento di cambiamento sociale.

Gli studenti della scuola, guidati dai professori dell’UNIBEN (Università di Benin City), hanno partecipato attivamente alla realizzazione del documentario, ricoprendo tutti i ruoli richiesti dalla sceneggiatura. Dalla regia alla fotografia, dal montaggio alla sceneggiatura, ogni aspetto del film è stato curato con dedizione e professionalità, offrendo ai giovani cineasti nigeriani un’esperienza concreta nel mondo del cinema.

Il ruolo di Alberto Cicala: Direttore della Fotografia

La qualità visiva del documentario è stata resa possibile grazie all’esperienza di Alberto Cicala, che ha lavorato come direttore della fotografia, operatore nonchè allievo di Silvano Agosti, garantendo immagini di grande impatto e autenticità. Inoltre, Cicala ha curato il location scouting in Nigeria, identificando i luoghi più significativi e suggestivi per raccontare la storia delle vittime della tratta.

Grazie alla sua profonda conoscenza del territorio e alla capacità di creare una narrazione visiva potente, il film riesce a trasmettere l’atmosfera della Nigeria e la realtà delle persone coinvolte nel fenomeno della tratta. Le scelte di illuminazione, composizione e inquadrature contribuiscono a dare forza al racconto, immergendo il pubblico nelle emozioni e nelle esperienze dei protagonisti.

Benin City: La Fabbrica delle Vittime

Benin City, capitale dello Stato di Edo, è tristemente nota come il principale centro di partenza per le ragazze destinate alla prostituzione in Europa. Qui, il traffico umano è radicato nella società e coinvolge diverse figure: reclutatori, falsi agenti di viaggio e madame, donne che gestiscono la tratta e controllano le vittime una volta arrivate in Italia.

Le ragazze vengono attirate con promesse di lavoro e benessere, ma prima di partire vengono sottoposte a rituali voodoo, che le vincolano psicologicamente ai loro sfruttatori. Questi rituali, spesso officiati da sacerdoti locali, servono a instillare paura e obbedienza, impedendo alle vittime di ribellarsi o denunciare i loro aguzzini.

Il viaggio della speranza che diventa incubo

Il documentario segue il percorso di queste giovani donne, dalla Nigeria alle strade italiane, mostrando le tappe del loro viaggio:

  • La partenza: il sogno di una vita migliore le spinge a lasciare la propria terra.
  • Il deserto e la Libia: molte attraversano il Sahara, affrontando fame, violenze e abusi.
  • Il Mediterraneo: il viaggio in mare è spesso l’ultima prova prima di arrivare in Europa, ma non tutte ce la fanno.
  • L’arrivo in Italia: una volta giunte, vengono costrette a prostituirsi per ripagare il “debito” contratto con i trafficanti.

Attraverso testimonianze dirette, Le Figlie di Mami Wata racconta la disperazione di queste ragazze, intrappolate in un sistema che le rende invisibili e prive di diritti.

Il ruolo delle Istituzioni e delle ONG

Nel documentario vengono intervistati esperti e rappresentanti di organizzazioni che combattono la tratta, tra cui il NAPTIP (National Agency for the Prohibition of Trafficking in Persons) in Nigeria. Il film evidenzia gli sforzi per contrastare il fenomeno e proteggere le vittime, ma anche le difficoltà nel fermare un sistema così radicato.

Giuseppe Carrisi: Un regista al servizio della denuncia sociale

Il documentario è diretto da Giuseppe Carrisi, giornalista e regista che lavora in RAI. Carrisi è noto per il suo impegno nel raccontare storie di grande impatto sociale, con un focus particolare sulle tematiche legate ai diritti umani, alla tratta di esseri umani e alle condizioni delle popolazioni vulnerabili. Nel corso della sua carriera, ha realizzato diversi documentari e reportage investigativi, spesso concentrandosi sulle realtà più difficili e meno conosciute.

In Le Figlie di Mami Wata, Carrisi porta alla luce il dramma delle giovani donne nigeriane vittime della tratta, mostrando il loro viaggio e le dinamiche di sfruttamento che le intrappolano. Grazie alla sua esperienza e sensibilità, il documentario riesce a trasmettere la complessità del fenomeno e a stimolare una riflessione profonda sul tema.

Conclusione: Un appello alla consapevolezza

Le Figlie di Mami Wata non è solo un documentario, ma un potente strumento di denuncia. Attraverso immagini forti e testimonianze toccanti, il film invita il pubblico a riflettere sulla realtà della tratta e sull’importanza di proteggere le vittime. La narrazione visiva e la regia incisiva rendono questo documentario un’opera fondamentale per comprendere una delle emergenze umanitarie più gravi del nostro tempo.

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